By Expedia Team, on September 15, 2015

Sulle tracce del genio di Venezia: viaggio nel tempo con Roberto Ferruzzi Jr.

“Antiquario ed esperto d’arte e della città lagunare, Robi ci guida alla scoperta dell’autentico carattere della Serenissima tra segreti e aneddoti curiosi.

“Se avessi una macchina del tempo, tornerei nella Venezia di 50 anni fa, un mondo dove tutto era calmo e prevedibile, come l’arrivo e le partenze stagionali degli inglesi colti, quando nei pomeriggi d’estate la gente si radunava a vedere la tv al bar Da Nico alle Zattere e si faceva gara di tuffi dal ponte di san Trovaso”.

Roberto Ferruzzi, per tutti Robi, è un veneziano giramondo, nato per caso a Santiago del Cile da padre veneziano e madre tedesca, dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse tra la Norvegia, la Danimarca, la Francia, l’Inghilterra e diverse città in Italia, è approdato definitivamente nella città lagunare per scelta d’amore. Lo incontriamo nella sua Ferruzzi Gallery, a due passi dall’Accademia di Belle Arti e dalla Collezione Peggy Guggenheim, dove ci mostra i dipinti di suo padre Bobo e vari testi sulla celeberrima “Madonnina”, opera che valse a suo bisnonno Roberto il 2° premio alla 2° Biennale dell’Arte della storia, e che dopo la sua misteriosa sparizione divenne la madonna dipinta più riprodotta nel mondo, nonostante rappresentasse in verità – ci racconta Robi – una Maternità ispirata da una ragazzina veneziana di nome Angelina Cian con in braccio la sorellina.

(Ferruzzi Gallery, Dorsoduro 523, Fondamenta dell’Ospedaletto, tel. +39 347 9561328)

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La Facciata di San Francesco della Vigna, Courtesy of © ARTE.it, Venezia 2015

Quando Robi ci parla della sua Venezia, l’immaginazione inizia a viaggiare a velocità inattese e si ritrova rapita da visioni nostalgiche di una città onirica, immersa nelle nebbie invernali piene di canti e profumi ormai perduti, una venezianità che pochi ricordano, fatta di velocità dell’intelletto e leggerezza del vivere, città sempre all’avanguardia in cui le grandi famiglie locali perpetravano una tradizione millenaria di capitale “industriale” e di cui sin dal Medioevo si diceva “Venezia, città dove non nasce niente e dove si trova tutto“, che poi vide evolversi e sbocciare dalla cultura dei Comuni un’epoca gloriosa e affascinante, in continua espansione fino a diventare la maestosa Serenissima che tutti conosciamo.

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La più grande collezione di scultura esterna nella capitale dell’arte tipografica

Che cosa resti al giorno d’oggi degli antichi splendori della Repubblica più longeva d’Europa, di quel carattere unico che la rese musa universale per gli artisti e gli eruditi di tutto il mondo, è un panorama discontinuo fatto di frammenti ed illuminazioni che dopo secoli continuano a raccontare imperituri la storia di un mito attraverso parole di pietra: oltre 5000 pezzi, tra fregi, bassorilievi e sculture che si trovano ancora nel loro sito originario, la più grande collezione di scultura esterna esistente, paragonabile solo a quelle di Roma e Bologna, che Robi ci suggerisce di andare a scoprire passo dopo passo tenendo in mano il libro di Alberto Rizzi, “Sculture esterne a Venezia” edito da Grafiche Veneziane. Una sorta di Bibbia per intenditori e non solo, che possiamo trovare alla Libreria Filippi (Calle del Paradiso, Castello 5763, tel. +39 041 5235635) specializzata sulla storia e i costumi della civiltà veneziana e uno tra gli ultimi baluardi di un’antica e prestigiosa tradizione tipografica di cui possiamo farci un’idea pensando ad esempio che nel ‘500 a Venezia si stampava un terzo dei libri di tutta Europa.

Libreria Filippi in Calle del Paradiso, Courtesy of © ARTE.it, Venezia 2015

Accanto alle numerose stamperie disseminate ovunque a quei tempi in città, Robi ci descrive una miriade di botteghe di intagliatori e doratori, stuccatori e marmisti di cui possiamo ancora ammirare il talento in ogni angolo della città, come nei bassorilievi della facciata della Scuola Grande di San Marco in Campo Santi Giovanni e Paolo, oggi sede dell’Ospedale Civile di Venezia (Rio dei Mendicanti 6776, tel. +39 041 5298711), e sui palazzi della vicina Barbaria delle Tole, da percorrere tutta fino alla grandiosa facciata palladiana di San Francesco della Vigna (Castello 2786, tel. +39 041 5235341).

I bassorilievi sulla facciata della Scuola Grande di San Marco in Campo Santi Giovanni e Paolo, Courtesy of © ARTE.it, Venezia 2015

La Venezia medievale e bizantina e l’apoteosi dell’artigianato

In un salto temporale ancora più lontano, Robi ci porta a cercare le tracce marmoree della Venezia medievale e bizantina nei fregi della facciata di Palazzo Bembo sul Canal Grande, sede odierna dell’European Cultural Centre (Riva del Carbon, San Marco 4793, tel. +39 349 0889763), una delle meglio conservate della città con le sue finestre ogivali e le cornici scolpite in bassorilievo, ricordando suo padre che nel suo studio restaurava e ricomponeva i frammenti lapidei risalenti a quelle epoche, e poi suo nonno, antiquario anch’egli, che possedeva ben 60 patere bizantine andate a ruba tra i collezionisti nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo Novecento, fino alle centinaia di artigiani che secoli addietro lavoravano incessantemente per abbellire ogni cosa, dagli abiti e dai gioielli delle dame ai più umili attrezzi da lavoro.

La Facciata di Palazzo Bembo sul Canal Grande, Courtesy of © ARTE.it, Venezia 2015

Così il nostro viaggio continua in una Venezia trionfante di colori nei dipinti di Canaletto, di Michele Marieschi, di Carpaccio e Gentile Bellini conservati a Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano (Dorsoduro 3136, tel. +39 041 2410100) o alle Gallerie dell’Accademia (Campo della Carità 1050, tel. +39 041 5200345), per rivivere lontane giornate cristalline in cui il vento gonfiava leggero le stoffe sontuose degli abiti delle nobildonne, le tende a righe gialle a blu alle finestre dei palazzi sul Canal Grande, ricoperti di tappeti turchi o albanesi, i tendalini multicolore delle gondole, un tempo color dell’oro, e di tutte le altre imbarcazioni che affollavano il bacino di San Marco, e possiamo immaginare, come suggeriva già nel 1926 Giulio Lorenzetti nel celebre “Venezia e il suo estuario”, gli oltre 300 palazzi affrescati con colori antichi a base di pigmenti naturali o loro sui bassorilievi e i marmi dipinti nelle chiese, ancora visibili ad esempio nelle parti coperte del Chiostro di Santo Stefano (Campo Santo Stefano 3825, tel. +39 041 5222362).

Giovanni Antonio Canal (Canaletto), “Regata sul Canal Grande vista da Ca’ Foscari”, 1740, National Gallery. Photo by Web Gallery of Art.
Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

I palazzi nobiliari e le grandi collezioni d’arte

Dal tripudio dei fasti screziati della Serenissima il viaggio nel tempo con Robi ci porta infine a contemplare il candore dei marmi delle sculture greco-romane del Museo Archeologico Nazionale di Venezia (Piazza San Marco 52, tel. +39 041 2967611). Il suo fulcro proviene dalla collezione privata del Cardinal Domenico Grimani, uno dei più celebri collezionisti veneziani tra i secoli XV e XVI, la cui famiglia lasciò alla città anche l’omonimo Palazzo, oggi Museo di Palazzo Grimani (Castello, Ramo Grimani 4858, tel. +39 041 5200345).

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“Il volo di Ganimede”, Scultura romana del II secolo a. C., Tribuna di Palazzo Grimani, Venezia. Photo by Jean-Pierre Dalbéra.
Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Qui sono presenti opere provenienti dalla collezione dello stesso Cardinale, come le cinquecentesche Visioni dell’aldilà di Hieronymus Bosch, o capolavori degli antichi Maestri veneti, come La Nuda di Giorgione, parte dell’affresco che originariamente si trovava al Fondaco dei Tedeschi a Rialto, e attraversando il grande cortile e le sale sontuose di questo palazzo, che nei secoli ha visto l’originaria fabbrica medievale trasformarsi in un’imponente dimora rinascimentale di ispirazione romana, si può ancora percepire la grandiosità di un luogo che ospitava una delle più importanti collezioni di antichità, espressione peculiare dello spirito avventuroso e costantemente assetato di bellezza e conoscenza da sempre tipico della meravigliosa città anadiomene.”